L’ultimo giorno di mercato ormai era cosa fatta. Dal mattino alla sera, quelle che inizialmente erano indiscrezioni, trovavano sempre più conferma con il passare delle ore: Quagliarella parte; Quagliarella va via, scambio con Gilardino; valzer di punte; Quagliarella sceglierà tra Roma e Lazio. Questi i titoli che si potevano leggere il 2 settembre. Poi successe qualcosa che non è mai stato chiarito fino in fondo: mancato accordo sull’ingaggio, una telefonata di Conte. Insomma, qualcosa si mosse per trattenerlo. E così la Juventus si è ritrovata in rosa uno che in Champions la differenza fino ad ora l’ha fatta sul serio, anche se non si chiama Quagliarinho o Quagliarellao.

L’anno scorso ci pensò lui a Stanford Bridge: entrò, segnò il gol del pareggio, scheggiò la traversa andando vicino all’apoteosi in quel di Londra. Poi il Nordsjelland al ritorno: un altro centro nel 4-0 casalingo. Poi il gol d’apertura contro il Chelsea a Torino: partita sbloccata e via alle danze per quello che diventerà un 3-0. Poi di nuovo un centro negli ottavi, contro il Celtic.

Quest’anno alla prima partita è di nuovo lui a segnare, è di nuovo lui a pareggiare una partita che si era messa in salita. Cinque reti totali in Champions con la Juventus, più in generale 13 reti in 20 partite in Europa. Se questo score lo avesse un altro attaccante, si starebbe parlando di campione, di uno che fa la differenza, di top/mega/iper player e cose simili.

La domanda che ci si può fare è: perchè venderlo a fine mercato? L’aspetto economico è davvero così preponderante rispetto a quello sportivo? Senza contare che con Conte, gli attaccanti che arrivano (in questo caso Gilardino) non si sa se giocano, almeno non prima di aver assimilato molte cose che il tecnico bianconero chiede. Vendere tanto per vendere, scambiare, cose del genere possono essere pericolose. Servono sì nuovi innesti, ma anche conferme e continuità. Intanto lui in Champions si esalta.

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